Dietro
L'Idea di Pina Debbi per combattere la piaga del Femminicidio: è un problema di come educhiamo l'uomo
Ed eccovi la nuova testimonial di
#noiciamiamo, ovvero Idea:nome straordinario, femminile
singolare,
quella campagna nata
in occasione dell'8 marzo 2024, quando, come ricorderete, ho dato vita
ad una nuova costola di #noiciamiamo, mossa difatti dalla necessità di un ripensamento globale. Perché, purtroppo, c'è bisogno di un’ulteriore
pagina FB per parlare di donne, dato che, con nostro immenso stupore, non abbiamo
ancora raggiunto le pari opportunità.
C’è ancora bisogno di riflessione,
cioè, sul concetto stesso di Idea, specie laddove possa confondersi con quello
di opinione. E proprio
quest' Idea, sta coinvolgendo sempre più colleghe e personaggi dello
spettacolo.
È la volta di Pina Debbi,
vicedirettrice del Tg La7, che nella sua variegatissima carriera, sta
mettendosi di nuovo in gioco su... un dottorato di ricerca in Learning
Sciences and Digital Technologies, con l’Università di Modena e Reggio Emilia,
unica sede con posizioni senza borsa, perché-come ci confida- data la
mia età (sono vicina alla pensione, tra qualche anno) mai a poi mai mi metterei
a competere con un giovane per un assegno ai limiti del...ridicolo, qui in
Italia. Nella complessità del nostro presente continuare a studiare è
indispensabile per avere chiavi di lettura del mondo che abitiamo, e potrebbe
non bastare se pensiamo che l’innovazione corre molto più veloce delle capacità
di apprendimento del nostro cervello e che i nostri decisori politici
rappresentano la moviola, ovvero vanno al rallentatore, spesso senza visione,
agendo solo per consenso.
F.F. Buongiorno Pina e
grazie dell’onore che mi hai riservato, aderendo a questa mia nuova iniziativa.
Presentaci il tuo percorso di donna-giornalista, per un incoraggiamento a tutte
le ragazze “aspiranti”.
P.D. Sono
stata fortunata e tenace. Sono un ex atleta e gli stereotipi, sui quali
risponderò nella prossima domanda, li ho vissuti in quella dimensione e non da
giornalista. Ho iniziato nello sport che ancora giocavo a pallone. Allora c’era
molta curiosità sul calcio delle donne, considerato più un fenomeno imitativo e
di costume, quasi circense, (nessun senso connotativo, per carità) piuttosto
che uno sport, un gioco per intrattenere. Per anni sono stata l’unica in Italia
a scrivere di calcio femminile, pochissime righe, spazio quasi miracoloso,
ottenuto bussando a mille porte, poi sono stata addetto stampa della Federazione
sia quando era ancora al di fuori dello sport ufficiale sia dopo. Quando il
giornalismo è diventato la mia professione nessuno poteva mettere in
discussione la mia competenza, per i miei colleghi ero inoltre la compagna
brava a calcetto, l’allenatore della squadra di Telemontecarlo. Ecco, alle
ragazze aspiranti direi, e questo vale per tutti i campi: siate “secchione”,
studiate, osservate, e giovatevela sulla competenza, prima o poi i risultati
arrivano. Anche oggi che tutto è più frammentato.
F.F. Quanti stereotipi ti
è capitato di dover smontare durante la tua carriera?
P.D. Gli
stereotipi li ho vissuti prima della mia carriera, quando ho iniziato a giocare
a calcio, mi hanno dato del maschiaccio, della diversa, come se a una
donna fosse preclusa la passione per lo sport più facile da giocare: bastano 4
zaini a delimitare due porte, uno spazio e una palla ed è anche il più
democratico perché puoi avere qualsiasi tipo di fisico, basta solo essere
coordinati. Se non mi fossi innamorata dell’eleganza di Gianni Rivera la prima
volta che sono andata allo stadio da bambina, e della magia che scatenavano le
sue giocate forse non mi sarei mai avvicinata al calcio. Sul lavoro è stato
semplice, grazie ad una visione più paritaria, quella di Telemontecarlo:
giornalismo anglosassone rivisitato alla brasiliana, nessun “dio” ma una
cultura aziendale fondata sul team con l’unico simbolo il logo di Rede Globo, proprietaria
della tv di allora. La scelta dei giovani era basata sul merito:
arrivavi per cooptazione ma se nei primi mesi non fossi stato all’altezza non
ti avrebbero confermato. Io sono stata contrattualizzata a fine 86, non avevo
neanche 26 anni, prima ancora di diventare professionista (10 Gennaio 1989)
sono stata inviata, una delle prime in Italia per una tv, agli Europei di
calcio in Germania nell’88 e alle Olimpiadi di Seoul, nello stesso anno. Sono
stata valutata esclusivamente per la mia competenza: mai per il mio aspetto
fisico. In quella redazione c’erano altre tre donne, Marina Sbardella, Flavia
Filippi, Patrizia Viola, 4 su 18 negli anni ’90 è un bel record. Nei miei anni
di collaborazione al Corriere dello Sport, le donne non erano contemplate. Ne
assunsero una, Daniela De Blasio a Stadio, a Bologna. Finita Telemontecarlo, la tv dello sport, per
la quale sono stata la prima donna ad occuparsi tecnicamente della moviola e a commentare
il posticipo (andando in onda in Galagol per due anni oltre ad essere inviata
per le partite) e a coprire in tutto tre olimpiadi, 4 mondiali e non so quanti
europei oltre alla serie a alle coppe
europee, dalla Champions alle altre, mi sono trasferita, con La7 al
Telegiornale, sono stata caporedattrice della cronaca, ho curato gli speciali e
le dirette e oggi ho la delega, come vicedirettore (dal 2004) al tg delle 20.00
e al digitale. Non ho mai sentito, lo ripeto, dico mai, pregiudizi né sono
stata trattata in modo diverso rispetto a un mio collega. Ma La7 è un’isola felice: siamo gli stessi da
oltre 30 anni, una dimensione quasi familiare. Ci sono due vicedirettori e due
vicedirettrici, ci sono molte donne caporedattrici, davvero un’avanguardia.
Sempre.
F.F. Dichiari di avere la
presunzione di…ignoranza e la sete di sapere, affrontando argomenti
delicatissimi come l’intelligenza artificiale. Come sta influendo, secondo te e
la tua esperienza diretta, l’idea stessa di A.I. applicato al corpo femminile,
visto che sui social , ad esempio Instagram,
si è dato vita a modelle che nulla hanno di umano né nelle forme né nelle
abitudini?
P.D. Il
corpo delle donne è stato sempre uno strumento di oggettivazione della persona,
e l’intelligenza artificiale può riproporre gli stereotipi e quello che la
donna rappresenta in un certo tipo di immaginario. Il problema non è la
tecnologia in sé quanto la mancanza di cultura e consapevolezza digitale.
Abbiamo avuto l’illusione che internet fosse il luogo più democratico del mondo
e invece che studiarne le infinite possibilità, siamo stati travolti da chi ha
iniziato a creare disinformazione e
favorire la misinformazione. Non ci siamo formati, è mancata
l’educazione alla cittadinanza digitale: non abbiamo compreso che prima di
scrivere e postare sui social qualsiasi messaggio che rimarrà eterno e che
potenzialmente può ferire, dovremmo pensare alle conseguenze che le nostre
parole e le immagini che postiamo possono avere sulle persone. Mai scrivere di
pancia, mai spacciare per vero ciò che non è verificato. E non dovremmo
ripetere l’errore con l’Intelligenza Artificiale che può essere una
straordinaria occasione di apprendimento e di crescita se impariamo a
conoscerla, gestirla e a trasformarla in un assistente proattivo. Ma questo
vale per tutte le tecnologie e fu così anche
per la scrittura che Platone nel Fedro, attraverso il mito di Theuth,
considerò come Pharmakòn, rimedio e veleno. Sta a noi trovare un equilibrio
all’interno di quest’ambiguità. Proprio per questo non voglio mettere al centro
la persona bensì la stessa tecnologia: sta all’umano che scrive gli algoritmi,
spesso pieni di bias tra i quali anche quelli legati alle donne, farne un uso
etico e rispettoso di ogni diversità.
F.F. Una domanda che
potrebbe sembrare una provocazione, ma non a te, vicedirettrice di un Tg come
il tuo: in cosa sbagliamo a tutt’oggi, nonostante i vari corsi deontologici in
materia, nella narrazione die femminicidi? O, viceversa, sono i PM che
continuano a scusare gli assassini invocando la loro presunta infermità
mentale, quando presentano gli ultimi casi di uxoricidio( lui è uscito di senno
alla notizia di lei che… e l’ha uccisa…)?
P.D.
Sbagliamo la narrazione, prima di spiegarmi voglio fare una premessa: “ho
scritto 1522 no alla violenza sulle donne”, un’opera teatrale che con la regia
di Tiziana Sensi e attraverso un progetto costruito con l’allora Miur ho
“disseminato” in diversi teatri d’Italia tra studenti e studentesse delle
superiori. Ci ho messo un anno a scriverlo dopo aver letto circa 7000 pagine
di atti giudiziari fornitimi da Telefono Rosa, di cui sono stata testimonial
per due anni. Ho visitato il carcere di Bollate intrattenendomi con i sex
offender, e, da giornalista e alla luce di queste esperienze posso dire che le
dinamiche della violenza sono sempre le stesse. Noi continuiamo a parlare di
gesto folle, di delitto passionale. È un linguaggio sbagliato: non c’è
un raptus dietro un femminicidio ma l’uomo che uccide una donna in quanto donna
costruisce quell’omicidio giorno dopo giorno, ossessionato dal possesso,
incapace di vivere la propria emotività e di accettare che una storia possa
finire e incapace di rispettare l’altra e la parità e l’autonomia dell’altra.
Il femminicidio è un problema dell’essere uomo e di come educhiamo l’uomo. Educare
alla diversità e al rispetto della diversità è un tema culturale. L’altro
aspetto riguarda le nostre cronache: parliamo sempre della vittima, mai del
carnefice proprio giorni fa, ho ascoltato l’attacco di un pezzo di un collega
su Giulia Cecchettin, si stupiva quasi che lei accettasse di vedere Filippo
Turetta, invece che sottolineare l’ossessività del ragazzo, il suo
comportamento disfunzionale.
F.F. A tutte le ragazze
che vorrebbero imitarti, spiegheresti la difficoltà, da uno a dieci, di
ricoprire ruoli apicali come il tuo, in un’epoca di così grandi stravolgimenti
della “nostra” storia del costume?
P.D. Ho
sempre svolto questo lavoro con passione e dedizione, ho studiato, mi sono
aggiornata, ci ho messo amore ma anche razionalità, impegno, dedicando ore e
ore tolte magari ad altro. Ma mi è sempre venuto facile e credo che se sei
giornalista dentro, se sei curiosa di conoscere, l’unica difficolta è trovare
l’equilibrio giusto nell’impiego di chi lavora con te, nel riuscire a tirar
fuori il meglio da ognuno e stimolarlo/a perché realizzi le proprie
potenzialità. Ma nulla è facile senza aggiornamento e miglioramento o,
permettetemi un inglesismo che rende meglio, upgrade delle proprie competenze.
F.F. Nel ringraziarti di
averci concesso il tuo tempo, lasciaci con la tua Idea di Donna:
P.D. Essere
autonoma fin da bambina (sono convintamente Montessoriana) e diventare ciò che vuole essere, tentando di
non inseguire modelli che non le appartengono ma invitandola ad ascoltare il
proprio sentire e a tentare sempre di volare alto, attraverso l’impegno e lo
studio per realizzare se stessa, secondo quello che Martha Nussbaum definiva
come “capability approach”.
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