Dietro

07/05/24

L'Idea di Pina Debbi per combattere la piaga del Femminicidio: è un problema di come educhiamo l'uomo


Ed eccovi la nuova testimonial di #noiciamiamo, ovvero Idea:nome straordinario, femminile singolare, quella campagna nata in occasione dell'8 marzo 2024, quando, come ricorderete, ho dato vita ad una nuova costola di #noiciamiamo, mossa difatti dalla necessità di un ripensamento globale. Perché, purtroppo, c'è bisogno di un’ulteriore pagina FB per parlare di donne, dato che, con nostro immenso stupore, non abbiamo ancora raggiunto le pari opportunità.

C’è ancora bisogno di riflessione, cioè, sul concetto stesso di Idea, specie laddove possa confondersi con quello di opinione. E proprio quest' Idea, sta coinvolgendo sempre più colleghe e personaggi dello spettacolo.

È la volta di Pina Debbi, vicedirettrice del Tg La7, che nella sua variegatissima carriera, sta mettendosi di nuovo in gioco su... un dottorato di ricerca in Learning Sciences and Digital Technologies, con l’Università di Modena e Reggio Emilia, unica sede con posizioni senza borsa, perché-come ci confida- data la mia età (sono vicina alla pensione, tra qualche anno) mai a poi mai mi metterei a competere con un giovane per un assegno ai limiti del...ridicolo, qui in Italia. Nella complessità del nostro presente continuare a studiare è indispensabile per avere chiavi di lettura del mondo che abitiamo, e potrebbe non bastare se pensiamo che l’innovazione corre molto più veloce delle capacità di apprendimento del nostro cervello e che i nostri decisori politici rappresentano la moviola, ovvero vanno al rallentatore, spesso senza visione, agendo solo per consenso.

F.F. Buongiorno Pina e grazie dell’onore che mi hai riservato, aderendo a questa mia nuova iniziativa. Presentaci il tuo percorso di donna-giornalista, per un incoraggiamento a tutte le ragazze “aspiranti”.

P.D. Sono stata fortunata e tenace. Sono un ex atleta e gli stereotipi, sui quali risponderò nella prossima domanda, li ho vissuti in quella dimensione e non da giornalista. Ho iniziato nello sport che ancora giocavo a pallone. Allora c’era molta curiosità sul calcio delle donne, considerato più un fenomeno imitativo e di costume, quasi circense, (nessun senso connotativo, per carità) piuttosto che uno sport, un gioco per intrattenere. Per anni sono stata l’unica in Italia a scrivere di calcio femminile, pochissime righe, spazio quasi miracoloso, ottenuto bussando a mille porte, poi sono stata addetto stampa della Federazione sia quando era ancora al di fuori dello sport ufficiale sia dopo. Quando il giornalismo è diventato la mia professione nessuno poteva mettere in discussione la mia competenza, per i miei colleghi ero inoltre la compagna brava a calcetto, l’allenatore della squadra di Telemontecarlo. Ecco, alle ragazze aspiranti direi, e questo vale per tutti i campi: siate “secchione”, studiate, osservate, e giovatevela sulla competenza, prima o poi i risultati arrivano. Anche oggi che tutto è più frammentato.

F.F. Quanti stereotipi ti è capitato di dover smontare durante la tua carriera?

P.D. Gli stereotipi li ho vissuti prima della mia carriera, quando ho iniziato a giocare a calcio, mi hanno dato del maschiaccio, della diversa, come se a una donna fosse preclusa la passione per lo sport più facile da giocare: bastano 4 zaini a delimitare due porte, uno spazio e una palla ed è anche il più democratico perché puoi avere qualsiasi tipo di fisico, basta solo essere coordinati. Se non mi fossi innamorata dell’eleganza di Gianni Rivera la prima volta che sono andata allo stadio da bambina, e della magia che scatenavano le sue giocate forse non mi sarei mai avvicinata al calcio. Sul lavoro è stato semplice, grazie ad una visione più paritaria, quella di Telemontecarlo: giornalismo anglosassone rivisitato alla brasiliana, nessun “dio” ma una cultura aziendale fondata sul team con l’unico simbolo il logo di Rede Globo, proprietaria della tv di allora. La scelta dei giovani era basata sul merito: arrivavi per cooptazione ma se nei primi mesi non fossi stato all’altezza non ti avrebbero confermato. Io sono stata contrattualizzata a fine 86, non avevo neanche 26 anni, prima ancora di diventare professionista (10 Gennaio 1989) sono stata inviata, una delle prime in Italia per una tv, agli Europei di calcio in Germania nell’88 e alle Olimpiadi di Seoul, nello stesso anno. Sono stata valutata esclusivamente per la mia competenza: mai per il mio aspetto fisico. In quella redazione c’erano altre tre donne, Marina Sbardella, Flavia Filippi, Patrizia Viola, 4 su 18 negli anni ’90 è un bel record. Nei miei anni di collaborazione al Corriere dello Sport, le donne non erano contemplate. Ne assunsero una, Daniela De Blasio a Stadio, a Bologna. Finita Telemontecarlo, la tv dello sport, per la quale sono stata la prima donna ad occuparsi tecnicamente della moviola e a commentare il posticipo (andando in onda in Galagol per due anni oltre ad essere inviata per le partite) e a coprire in tutto tre olimpiadi, 4 mondiali e non so quanti europei oltre alla serie a alle coppe europee, dalla Champions alle altre, mi sono trasferita, con La7 al Telegiornale, sono stata caporedattrice della cronaca, ho curato gli speciali e le dirette e oggi ho la delega, come vicedirettore (dal 2004) al tg delle 20.00 e al digitale. Non ho mai sentito, lo ripeto, dico mai, pregiudizi né sono stata trattata in modo diverso rispetto a un mio collega. Ma La7 è un’isola felice: siamo gli stessi da oltre 30 anni, una dimensione quasi familiare. Ci sono due vicedirettori e due vicedirettrici, ci sono molte donne caporedattrici, davvero un’avanguardia. Sempre.

F.F. Dichiari di avere la presunzione di…ignoranza e la sete di sapere, affrontando argomenti delicatissimi come l’intelligenza artificiale. Come sta influendo, secondo te e la tua esperienza diretta, l’idea stessa di A.I. applicato al corpo femminile, visto che sui social , ad esempio Instagram, si è dato vita a modelle che nulla hanno di umano né nelle forme né nelle abitudini?

P.D. Il corpo delle donne è stato sempre uno strumento di oggettivazione della persona, e l’intelligenza artificiale può riproporre gli stereotipi e quello che la donna rappresenta in un certo tipo di immaginario. Il problema non è la tecnologia in sé quanto la mancanza di cultura e consapevolezza digitale. Abbiamo avuto l’illusione che internet fosse il luogo più democratico del mondo e invece che studiarne le infinite possibilità, siamo stati travolti da chi ha iniziato a creare disinformazione e favorire la misinformazione. Non ci siamo formati, è mancata l’educazione alla cittadinanza digitale: non abbiamo compreso che prima di scrivere e postare sui social qualsiasi messaggio che rimarrà eterno e che potenzialmente può ferire, dovremmo pensare alle conseguenze che le nostre parole e le immagini che postiamo possono avere sulle persone. Mai scrivere di pancia, mai spacciare per vero ciò che non è verificato. E non dovremmo ripetere l’errore con l’Intelligenza Artificiale che può essere una straordinaria occasione di apprendimento e di crescita se impariamo a conoscerla, gestirla e a trasformarla in un assistente proattivo. Ma questo vale per tutte le tecnologie e fu così anche per la scrittura che Platone nel Fedro, attraverso il mito di Theuth, considerò come Pharmakòn, rimedio e veleno. Sta a noi trovare un equilibrio all’interno di quest’ambiguità. Proprio per questo non voglio mettere al centro la persona bensì la stessa tecnologia: sta all’umano che scrive gli algoritmi, spesso pieni di bias tra i quali anche quelli legati alle donne, farne un uso etico e rispettoso di ogni diversità.

F.F. Una domanda che potrebbe sembrare una provocazione, ma non a te, vicedirettrice di un Tg come il tuo: in cosa sbagliamo a tutt’oggi, nonostante i vari corsi deontologici in materia, nella narrazione die femminicidi? O, viceversa, sono i PM che continuano a scusare gli assassini invocando la loro presunta infermità mentale, quando presentano gli ultimi casi di uxoricidio( lui è uscito di senno alla notizia di lei che… e l’ha uccisa…)?

P.D. Sbagliamo la narrazione, prima di spiegarmi voglio fare una premessa: “ho scritto 1522 no alla violenza sulle donne”, un’opera teatrale che con la regia di Tiziana Sensi e attraverso un progetto costruito con l’allora Miur ho “disseminato” in diversi teatri d’Italia tra studenti e studentesse delle superiori. Ci ho messo un anno a scriverlo dopo aver letto circa 7000 pagine di atti giudiziari fornitimi da Telefono Rosa, di cui sono stata testimonial per due anni. Ho visitato il carcere di Bollate intrattenendomi con i sex offender, e, da giornalista e alla luce di queste esperienze posso dire che le dinamiche della violenza sono sempre le stesse. Noi continuiamo a parlare di gesto folle, di delitto passionale. È un linguaggio sbagliato: non c’è un raptus dietro un femminicidio ma l’uomo che uccide una donna in quanto donna costruisce quell’omicidio giorno dopo giorno, ossessionato dal possesso, incapace di vivere la propria emotività e di accettare che una storia possa finire e incapace di rispettare l’altra e la parità e l’autonomia dell’altra. Il femminicidio è un problema dell’essere uomo e di come educhiamo l’uomo. Educare alla diversità e al rispetto della diversità è un tema culturale. L’altro aspetto riguarda le nostre cronache: parliamo sempre della vittima, mai del carnefice proprio giorni fa, ho ascoltato l’attacco di un pezzo di un collega su Giulia Cecchettin, si stupiva quasi che lei accettasse di vedere Filippo Turetta, invece che sottolineare l’ossessività del ragazzo, il suo comportamento disfunzionale.

F.F. A tutte le ragazze che vorrebbero imitarti, spiegheresti la difficoltà, da uno a dieci, di ricoprire ruoli apicali come il tuo, in un’epoca di così grandi stravolgimenti della “nostra” storia del costume?

P.D. Ho sempre svolto questo lavoro con passione e dedizione, ho studiato, mi sono aggiornata, ci ho messo amore ma anche razionalità, impegno, dedicando ore e ore tolte magari ad altro. Ma mi è sempre venuto facile e credo che se sei giornalista dentro, se sei curiosa di conoscere, l’unica difficolta è trovare l’equilibrio giusto nell’impiego di chi lavora con te, nel riuscire a tirar fuori il meglio da ognuno e stimolarlo/a perché realizzi le proprie potenzialità. Ma nulla è facile senza aggiornamento e miglioramento o, permettetemi un inglesismo che rende meglio, upgrade delle proprie competenze.

F.F. Nel ringraziarti di averci concesso il tuo tempo, lasciaci con la tua Idea di Donna:

P.D. Essere autonoma fin da bambina (sono convintamente Montessoriana) e diventare ciò che vuole essere, tentando di non inseguire modelli che non le appartengono ma invitandola ad ascoltare il proprio sentire e a tentare sempre di volare alto, attraverso l’impegno e lo studio per realizzare se stessa, secondo quello che Martha Nussbaum definiva come “capability approach”.

L'Idea di Pina Debbi per combattere la piaga del Femminicidio: è un problema di come educhiamo l'uomo


Scritto da: Federica Ferretti
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